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Sviluppo e sostenibilità. Intervista al prof. Franco Ferrario.

Com’è cambiata la nostra idea di sostenibilità negli ultimi quarant’anni? Quali sono i limiti dello sviluppo? Sono alcune delle domande che abbiamo rivolto al prof. Franco Ferrario, esperto di Change Management e di Sostenibilità d’Impresa.

Nel rapporto Brundtland si legge questa definizione di sostenibilità: “uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri”. Quanto è ancora attuale questa definizione, e quali sono state da allora le tappe più importanti sulla strada di una maggiore consapevolezza in materia di sostenibilità?

Sì, il rapporto Brundtland è dell’84 è lì si è data per la prima volta una definizione ampiamente riconosciuta del termine “sostenibilità”, quella che ha appena citato. Se è valida ancora o no…ahimè è più valida di prima! Perchè se c’è un momento in cui la situazione è insostenibile, è questo. Se prendiamo come indicatore di riferimento sulla sostenibilità quello che oggi è il problema più grande, la quantità di CO2 che immettiamo nell’atmosfera, nel 2021 abbiamo fatto di nuovo il record. 

Dopo un calo nel 2020 legato alla pandemia, abbiamo ricominciato uguale a prima, se non peggio di prima, superando i 37 miliardi di tonnellate di CO2 buttate nell’aria. Quindi questo modello è attualmente completamente insostenibile, molto più insostenibile di quanto lo fosse nel 1984. In quegli anni non stavamo ancora accumulando grandi quantità di CO2 nell’atmosfera, questo è un dato interessante. Abbiamo iniziato intorno agli anni ’90. Nell’84 eravamo a circa 19 miliardi di tonnellate di CO2 (la Terra a quel tempo le assorbiva tutte), sostanzialmente abbiamo iniziato ad accumulare dopo. Nel ’94 eravamo a 22 miliardi, nel 200 a 24,5, ma nel 2006 eravamo già a 30, una crescita impressionante.

Oggi il modello è totalmente insostenibile, e rischia di diventarlo ancora di più, perché è un mondo che continua a premere sullo sviluppo, giustamente, perchè buona parte del pianeta è in condizioni di povertà e di carenza di ciò che per noi è assolutamente normale (cibo, acqua, aria respirabile, la possibilità di muoverci). In un quadro simile è ovvio che ci sia una pressione alla crescita. Quell’affermazione della Brundtland non è che non è più vera, è molto più vera oggi di prima, purtroppo. Non è vero che non abbiamo fatto niente, ma quello che abbiamo fatto è inadeguato. Ci troviamo in una situazione simile a quando sei in montagna e vai su pendii molto ripidi e franosi, vai su due metri e scivoli giù tre. 

Perchè la sostenibilità non è legata ad un singolo intervento, ma è una scelta strategica e un modello strutturale da seguire, necessario per la sopravvivenza stessa delle imprese?

Questa è una domanda molto interessante. Perchè non serve? La grandissima ricercatrice ed esperta di teorie dei sistemi Donella Meadows, una delle tre autrici del libro I limiti dello sviluppo e de I nuovi limiti dello sviluppo pubblicato 32 anni dopo, spiega questa cosa: i sistemi si reggono su paradigmi. Alla base di ogni sistema c’è un paradigma, un’idea di fondo che lo tiene su, quel sistema lì. E quello che orienta poi il comportamento di tutto il sistema. Il paradigma su cui è basato il sistema di vita occidentale (non lo vediamo neanche, ma c’è) è incompatibile con un mondo sostenibile. La dico fuor di metafora: se tu non parti dal presupposto che il tema centrale non è fare più denaro possibile nel breve periodo, noi non diventeremo mai sostenibili, perchè questa cosa è incompatibile con un mondo sostenibile.

Ne I nuovi limiti dello sviluppo c’è un cosa molto bella che dice la Meadows: non è che le imprese non devono fare più soldi, perchè devono anche essere sostenibili economicamente. Dipende da come fanno i soldi, e cita questo caso, secondo me chiarissimo. Se sei un’impresa che pesca pesci, il tuo obiettivo è fare più soldi possibile nel breve periodo, peschi pesce fino a quando non ce n’è più. Se tu vuoi pescare pesce per i prossimi 200 anni, ti programmi in modo tale di continuare ad avere pesce per i prossimi 200 anni. Noi non abbiamo la prospettiva di lungo periodo, tutto il nostro mondo è orientato al breve periodo, anche le cose che strutturalmente sono di lungo periodo. […]

Dobbiamo cambiare paradigma, ne abbiamo altri paradigmi che non funzioneranno più tra poco. Banalmente, lei come tutti noi lavora. Il paradigma in cui siamo immersi è: io lavoro, con il lavoro guadagno i soldi e con quei soldi vivo. Lasciamo perdere chi è ricco di natura e vive di vantaggi legati alle proprietà immobiliari, etc, che comunque è una minoranza. La maggior parte del mondo vive così. Io lavoro, guadagno e con quei soldi vivo. Secondo lei tra vent’anni con l’intelligenza artificiale e la robotica, questo paradigma reggerà?

Ovviamente no, perchè di lavoro non ce ne sarà, faranno tutte le macchine. Già oggi fanno cose devastanti. È il caso ad esempio di Lamda, l’intelligenza artificiale di Google per cui hanno licenziato quell’ingegnere. Ma questa è l’intelligenza artificiale di oggi. Raddoppia la sua capacità ogni sei mesi. È un aumento esponenziale, dopo un anno sei a 4 volte, dopo un anno e mezzo a 8, dopo due anni a 16, dopo due anni e mezzo a 32, dopo 3 anni a 64. È come dire che un’automobile che fa 100 all’ora dopo 4 anni fa 8.000 all’ora.

L’uomo ha queste sfide davanti. Ha la sfida di interrompere il paradigma “adolescenziale” del qualsiasi cosa faccia non succede nulla, perchè la natura è troppo più forte di noi. Siamo cresciuti per migliaia, milioni di anni con l’idea che qualsiasi cosa facessimo non sarebbe successo nulla. Poi la natura comunque ci dà sempre tutto. Continuiamo a pensare di essere centrali, ma viviamo perchè la natura ci dà l’acqua, ci dà l’aria, le piante ci danno la roba da mangiare, alimentano gli animali. Questa è la natura. Viviamo perchè la natura ci dà delle cose, perchè se non ci fossero quelle cose lì, noi di cosa vivremmo?
Dobbiamo smettere questo approccio adolescenziale e capire che senso ha per noi stare sulla terra. E che senso ha dovrebbero chiederselo anche Jeff Bezos o Elon Musk.

È tra i fondatori di Aequos, modello di filiera corta e di green logistics nata a Saronno, in provincia di Varese. Sulla base di questa esperienza, e pensando in particolare al comparto agroalimentare, quali sono secondo lei gli interventi prioritari per le imprese, sulla strada di flussi produttivi e logistici sostenibili?

La prima cosa l’ho detta all’ultima edizione di Cibus in un convegno. Dobbiamo capire se vogliamo continuare ad accettare che il 17-18% della roba buona prodotta venga buttata via o no.

In Italia lo scarto alimentare (stiamo parlando della roba buona) e onestamente non so neanche se nella roba buona mi contano le foglie dei cavolfiori, i gambi dei finocchi, i colli dei polli (che io mangio!), supponiamo che li contino, stiamo parlando del 18% di roba che viene buttata. All’interno di ogni impresa, modello alimentare o logistica dovremo pensare che in cima a tutto, come la total quality nel settore manifatturiero, ovvero zero scarti, e l’obiettivo zero rifiuti nell’economia circolare, ci sia scritto zero sprechi.

Aequos è un modello importante da questo punto di vista. È vero che ha una sua componente cooperativa, per cui una serie di costi vengono compressi. Dimentichiamoci per un attimo i costi del consiglio d’amministrazione che lavora gratuitamente. La sostanza è che Aequos ha un modello per cui riesce a dare ai contadini l’85% di quello che pagano le persone. Questo significa che paga i contadini in modo dignitoso, e non scarica i costi sul mercato, perchè ha una logistica estremamente efficiente. Uno cerca di comprare vicino, due ottimizza tutti i trasporti.
Non possiamo accettare una logistica in cui i gelati dell’Algida prodotti a Caivano, vadano a Parma con il treno refrigerato, e poi ritornino a Napoli con il camion, perchè è inaccettabile. Dobbiamo riorganizzare tutto il modello logistico per riuscire a compensare questa cosa. 

È ovvio, un po’ di roba la dovremo spostare, ma su questo dobbiamo trovare in qualche modo un equilibrio. Non dobbiamo smettere di spostare tutto, però dobbiamo iniziare a pensare che dobbiamo spostare poco. Penso che un comparto alimentare serio dovrebbe mettere una label su ogni prodotto, dove c’è scritto quanti chilometri ha percorso e quanta CO2 ha prodotto. Dopodiché deciderà il consumatore se comprarlo o no. Oggi invece c’è un’opacità terrificante. La stragrande maggioranza delle persone non sa quello che fa quando fa un acquisto, e invece lo deve fare. Per quanto riguarda le imprese, invece, penso che il loro destino sarà uno solo, il benefit. Che non significa che regaleranno i quattrini, ma che dovranno mettere al centro il loro vero mestiere. Che non è quello di fare soldi, ma di dare un servizio a qualcuno. Le imprese esistono perchè c’è qualcuno che ha un bisogno, che loro soddisfano. Quando accade che creano un bisogno da soddisfare per poter stare in piedi, siamo già in un’economia malata. 



FRANCO FERRARIO

Ingegnere, padre di 3 figli, laureato con lode con una tesi sull’intelligenza artificiale, dopo 7 anni trascorsi in azienda, ha iniziato l’attività di consulenza e di ricerca in campo organizzativo. Responsabile del primo Osservatorio di ricerca del Politecnico di Milano, è Adjunct Professor presso il MIP. Esperto di Change Management e di Sostenibilità d’Impresa, ha operato pro-tempore in posizioni di vertice in alcune organizzazioni. Fondatore di Aequos, modello di green logistics nata per facilitare l’acquisto collettivo di prodotti. Appassionato di montagna e di ambiente, è un membro attivo del mondo dell’Economia Solidale Lombarda nell’ambito della quale svolge attività di volontariato.

cover ph. Thomas Richter | Unsplash

Percorsi di sostenibilità

Con il Green Deal, l’Unione Europea si è impegnata a trasformare l’Unione, entro il 2050, nel primo continente neutrale dal punto di vista climatico. Per raggiungere l’obiettivo, bisognerà ridurre le emissioni di almeno il 55% entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990. Ciò creerà nuove opportunità per l’innovazione, gli investimenti e i posti di lavoro, oltre a favorire la riduzione delle emissioni e dei consumi energetici, e del miglioramento degli aspetti legati a salute e benessere.

Cosa significa per un’impresa essere sostenibile? La sostenibilità ambientale delle imprese riguarda il mettere in atto comportamenti concreti in grado di ridurre gli impatti negativi sull’ambiente naturale. Ad esempio il controllo e la riduzione dell’uso di energia, l’aumento dell’uso di energia da rinnovabili, il controllo per la riduzione dell’uso dell’acqua, il riciclo e il trattamento dei rifiuti, la riduzione dell’emissioni in atmosfera.

Oggi parliamo di questo tema raccontando due attività strategiche per la sostenibilità del nostro stabilimento: la gestione delle acque e l’impianto fotovoltaico.

Gestione delle acque

Le acque piovane sono raccolte in tutta la proprietà tramite una cisterna interrata di circa 30.000 litri. Il sistema di raccolta ci permette di essere autonomi nella gestione del verde aziendale e delle riserve di acqua. Nel caso sia necessario attingere a questa riserva ai fini produttivi, infatti, la stessa viene poi diretta al nostro impianto di trattamento delle acque di processo, e tramite tecnologia di ultrafiltrazione, viene resa microbiologicamente in linea con i parametri richiesti dai processi. 

L’acqua di processo, invece, essendo prelevata da un pozzo di nostra proprietà, viene stoccata in cisterne per un totale di circa 100.000 litri e in caso di necessità resa disponibile ai fabbisogni produttivi. Siamo inoltre in grado di recuperare una parte delle acque di processo tramite un sistema di tubazioni e serbatoi dedicati, che ci permettono di ridurre al minimo lo spreco di acqua, specialmente nei periodi di maggior utilizzo.

Impianto fotovoltaico ed energia solare


Il nostro impianto fotovoltaico da 100 kW attualmente è in grado di determinare, nei periodi di massimo irraggiamento solare, l’autoconsumo energetico. Lo scorso anno, il nostro impianto ha prodotto energia solare per un totale di circa 120 MWh e, considerato il frequente ricorso a nuovo fabbisogno energetico derivante dalla maggiore attività produttiva, abbiamo in programma di installare un ampliamento di ulteriori 120 kW entro il 2022. Così facendo, la nostra azienda sarà autosufficiente e, allo stesso tempo, permetterà l’immissione in rete di energia non utilizzata ai fini produttivi.

La possibilità di produrre energia dal sole sarà implementata attraverso un impianto solare termico a supporto dei processi che richiedono acqua ad una determinata temperatura di esercizio. Questa novità, che prevediamo di avviare entro il prossimo anno, permetterà un consistente risparmio di gas (GPL), con un conseguente risparmio energetico e un minor ricorso ai combustibili fossili tradizionali. 

Installeremo, infine, una prima colonnina di ricarica per veicoli elettrici (anch’essa alimentata dal fotovoltaico), destinata tanto ai mezzi interni quanto ai visitatori del nostro stabilimento di Campo Calabro. Prevista come un obiettivo al 2025, siamo determinati affinché si possa raggiungere entro il 2023. 

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